Quel che vi serve sapere: T’Challa ha rinunciato al doppio ruolo di Pantera
Nera e di sovrano del Wakanda e si è trasferito a New York dove ha assunto
l’identità di Thomas Chalmers, assistente sociale nel quartiere di Harlem.
Contemporaneamente ha iniziato l’attività di supereroe urbano con il nome di
Leopardo Nero. Al suo fianco ha Okoye, già membro delle Dora Milaje, la guardia
personale interamente femminile del sovrano del Wakanda..
Il Leopardo Nero si è scontrato
con un’organizzazione criminale che vuole assumere il controllo del mercato
della prostituzione e del traffico di esseri umani a New York, guidata dal
presunto uomo d’affari rumeno Vlad Dinu soprannominato Vlad l’Impalatore.
Tramite il figlio Nicolae, Vlad si
assicura i servizi della misteriosa Sasha Montenegro,
a cui affida l’incarico di eliminare il Leopardo Nero e Okoye,
Nel frattempo, in Wakanda, M’Koni,
alias Mary Wheeler, cugina di T’Challa che ha vissuto per decenni negli Stati
Uniti ed ha un figlio che è per metà americano, ha superato tutte le prove ed
ora è ufficialmente la nuova Pantera Nera ma c'è
chi non è soddisfatto di questa situazione
Di
Carlo Monni
(con
tanti ringraziamenti a Carmelo Mobilia e Mickey)
Capitolo 14
Cacciatori nell’ombra
Birmin
Zana, Capitale del Wakanda, Palazzo Reale.
Il Wakanda era da sempre un miscuglio di
tradizioni e modernità. Anche se la maggioranza degli wakandani viveva in
villaggi tradizionali non per questo era tagliata fuori dal mondo, in molti
avevano una TV personale ed un maxischermo posto al centro di ogni villaggio
garantiva comunque che le notizie più importanti raggiungessero tutti in tempo
reale.
La notizia del giorno era, ovviamente, la
proclamazione ufficiale della nuova Pantera Nera, che per la prima volta da
tempo immemorabile, era una donna: M’Koni, figlia di T’Chanda, nipote di Azzari
il Saggio, cugina del precedente sovrano T’Challa. Più avanti ci sarebbe stata
una formale incoronazione con la partecipazione di delegazioni delle varie
tribù della Nazione e per la prima volta anche di delegazioni di nazioni
straniere, ma intanto il Popolo doveva essere adeguatamente informato di avere
una nuova sovrana.
Per l’occasione la Sala del Trono era stata
aperta al pubblico e molti cittadini della Capitale non avevano voluto perdere
quest’occasione.
I membri della Famiglia Reale, il Clan della
Pantera, erano, naturalmente, in prima fila assieme ai membri del Governo.
Alcuni indossavano i tradizionali abiti wakandani, altri erano vestiti
all’occidentale. Altri ancora vestivano una loro personale versione del costume
della Pantera simbolo del Clan.
Seduta sul trono con indosso il costume
rituale della Pantera Nera, maschera sul volto compresa, M’Koni si sentiva
nervosa e rifletteva su cosa avrebbe detto di lì a poco. Non sarebbe piaciuto a
tutti, di questo era dolorosamente certa.
La notte precedente, la prima trascorsa negli
appartamenti reali che ora erano i suoi, era stata insonne e per molti versi
tormentata, mentre rifletteva su quali
sarebbero stati i suoi primi atti da sovrana e se avrebbe avuto il coraggio di
portarli avanti. Ora non poteva più indugiare.
Allungò una mano a stringere quella di suo
figlio Billy in piedi alla sua destra, che per l’occasione indossava gli abiti
tradizionali wakandani. Era un atto fuori dal protocollo ma a lei non
importava. Sapeva che alcuni non vedevano di buon occhio Billy perché suo padre
era americano, ma avrebbero dovuto ingoiare
i loro pregiudizi adesso che era formalmente un Principe del Regno: il Principe
T’Chanda, il suo nome Wakandano, lo stesso del nonno materno.
Ad interrompere le riflessioni di M’Koni fu
suo zio S’Yan, che fino ad allora era stato il Reggente. Avanzò verso il trono
e si rivolse alla folla presente ed a quella che stava seguendo l’evento via
satellite o streaming:
<Che tutti sappiano che il Wakanda ha una
nuova Regina! Lunga vita a M’Koni! Lunga vita alla Pantera Nera! Lunga vita al
Wakanda!>
Dalla folla proruppe un boato di voci che
ripeteva le ultime parole di S’Yan.
M’Koni si alzò e disse con a voce che tradiva
una certa emozione:
<Ti ringrazio zio. In questo periodo di
transizione hai servito bene il Wakanda come Reggente, un peso che ora è
sollevato dalle tue spalle. Come mio primo atto in qualità di nuova sovrana ho
deciso di nominarti Ambasciatore alle Nazioni Unite. Nessuno meglio di te, ne
sono certa, è in grado di difendere i nostri interessi nei consessi
internazionali.>
S’Yan rimase interdetto per un attimo. Il suo
pensiero andò al figlio T’Shan che lo aveva preceduto in quel ruolo ed aveva
poi subito un triste destino.[1] Alla
fine disse:
<Sarà un onore, per me, continuare a
servire il Wakanda, mia Regina.>
<Solo M’Koni per te, zio.> replicò lei
poi si rivolse all’uomo anziano dalla lunga barba bianca vestito con gli abiti
tradizionali che stava in piedi qualche passo indietro.
<Mio buon N’Gassi, hai servito il Trono
della Pantera per molti anni e tutti te ne siamo grati ma ora è giunto per te
il momento di un meritato riposo. Ti sollevo dai doveri di Primo Ministro e
nomino tuo successore Taku.>
Un mormorio passò tra la folla.
<Come tu desideri, Mia Signora.>
replicò N’Gassi senza scomporsi.
<Io?> esclamò un giovane uomo
decisamente sconcertato che sedeva tra i banchi del governo.
<Intendi rifiutare?> chiese M’Koni,
sperando di mascherare una certa apprensione.
<No di certo.> rispose per lui W’Kabi,
Ministro della Difesa <Taku è il migliore di tutti noi ed accetterà dovessi
convincerlo a suon di calci nel sedere.>
Tutti risero stemperando l’atmosfera.
<W’Kabi ha ragione.> aggiunse N’Gassi.
<Non potrei pensare a successore più degno.>
<A quanto pare, non mi lasciate
scelta.> commentò l’ormai ex Ministro delle Comunicazioni abbozzando un
sorriso.
<Allora è deciso.> commentò M’Koni
ormai più rilassata <Saranno indette nuove elezioni del Parlamento così che
il Popolo possa dire la sua su questa mia decisione. Andiamo avanti: Jiru, tu
hai ben servito il Trono a rischio della tua stessa vita. Una simile dedizione
non può non essere ricompensata. Da oggi sei il capo di Stato Maggiore del
Wakanda. Ovviamente la tua nomina dovrà essere approvata dal Consiglio dei Capi, come vuole la Costituzione ma confido che
approveranno la mia scelta.>
<Io lo approvo.> intervenne ancora
W’Kabi <Il ragazzo è in gamba ed ha la stoffa del guerriero.>
<Io non so cosa dire.> balbettò il
giovane.
<Basta un semplice: accetto.> replicò
M’Koni.
<E allora dilla, Generale Jiru.> lo incalzò W’Kabi.
<Accetto.> mormorò il giovane.
Sotto la maschera M’Koni sorrise poi si
rivolse di nuovo al pubblico ed alle telecamere:
<Infine ho scelto mio cugino Khanata come
capo del Consiglio di Reggenza al posto di mio zio S’Yan. Sarà affiancato da
mia cugina Shuri e da K’Winda il Lupo Bianco. Non fare quella faccia, Khanata:
puoi dirigere la tua casa automobilistica anche dal Wakanda e sono certa che
avere la scorta permanente delle Dora Milaje non ti dispiacerà affatto.>
Ci furono altre risate. Lo stile informale
della nuova sovrana piaceva a molti.
A molti, ma non a tutti. Uno sguardo attento
avrebbe rivelato tra la folla plaudente dei volti cupi.
Omoro, capo dei servizi segreti wakandani li
conosceva tutti, alcuni erano anche membri del Parlamento con un certo seguito.
Non poteva ancora dimostrarlo ma era certo che tra loro ci fosse chi aveva
organizzato i recenti tumulti.[2]
In altri tempi sarebbe bastato un cenno del
sovrano e quei piantagrane sarebbero scomparsi in silenzio e senza che nessuno
facesse domande ma T’Challa non era il tipo da agire in questo modo e tantomeno
lo era M’Koni. Svantaggi della Democrazia. Omoro sorrise alla sua inespressa
battuta.
In ogni caso lui avrebbe tenuto il suo unico
occhio sano decisamente ben aperto.
New
York City.
Nel suo ufficio di Assistente Sociale per la
zona di Harlem, Thomas Chalmers stava seguendo il notiziario.
<Buona fortuna, M’Koni.> sussurrò colui
che era stato T’Challa, la precedente Pantera Nera <Ne avrai bisogno.>
La sua attenzione fu attratta da quanto stava
dicendo l’anchorwoman:
<<Altre
notizie dall’Africa. Altri piccoli Stati dell’area dei Grandi Laghi hanno
accettato di unirsi alla Federazione Panafricana guidata dal Dottor Joshua
N’Dingi, che è noto anche con il nomignolo di Dottor Crocodile, mentre altri
come Azania, il Djanda e il Bangalla hanno rifiutato. Stati che in precedenza
avevano rifiutato di entrare nella Federazione sono stati brutalmente invasi e
costretti ad un’annessione forzata. Accadrà anche stavolta?>>
T’Challa aveva conosciuto Joshua N’Dingi e
sapeva che non era uno spietato dittatore come tanti altri che aveva incontrato
in passato ma sapeva anche che una volta che si era messo in testa un obiettivo
niente poteva dissuaderlo. Aveva già invaso la Narobia e minacciava Azania con
cui Wakanda aveva un trattato di amicizia. Crocodile sapeva cosa voleva dire
questo? Non gli importava oppure…
<L’Africa è decisamente una
polveriera.> commentò un giovanotto afroamericano entrando nella stanza.
<Lo è da sempre, Jody.> replicò
Chalmers <Odi etnici, povertà, malattie e lo sfruttamento delle risorse a
beneficio di pochi. Sono cose vecchie ormai.>
<Un atteggiamento cinico il tuo.>
commentò Jody Casper.
<Disincantato, più che cinico, io spero
sempre che le cose migliorino ma non mi faccio illusioni.>
T’Challa parlava con cognizione di causa. Una
volta lui aveva provato a cambiare le cose ma aveva fallito miseramente.[3] Ora
N’Dingi ci stava provando a sua volta e T’Challa sentiva che non sarebbe finita
bene nemmeno per lui.
<Stavo andando al Centro Maria Stark,
vieni con me?> gli chiese Jody.
<Naturalmente.> rispose lui
Il Centro di Assistenza per Donne Maltrattate
Maria Stark era gestito dall’omonima Fondazione intitolata alla madre di Tony
Stark e, come diceva il suo nome, si occupava di aiutare le donne vittime di
abusi. Vi erano state portate le donne da avviare alla prostituzione che
T’Challa, nelle vesti del Leopardo Nero, aveva liberato dalle grinfie
dell'organizzazione del criminale rumeno che si faceva chiamare Vlad
l’Impalatore.[4]
Erano state ospiti lì per un po’ ma adesso bisognava decidere del loro destino
e non sarebbe stata una cosa facile.
Birmin
Zana, Capitale del Wakanda.
La Sala del Trono si stava svuotando e tra
coloro che ne stava uscendo c’era anche un gruppo di uomini vestiti con i
tradizionali abiti wakandani.
<Quella… donna va fermata.> sibilò uno
di loro <Non è degna di vestire i panni della Sacra Pantera. Distruggerà le
antiche tradizioni del nostro popolo.>
<Abbiamo già dovuto tollerare che una
femmina salisse al Trono ed anche il matrimonio tra due
uomini nonostante i nostri sforzi per impedirlo.[5] Quanto
altro dovremo ancora subire?> disse un altro.
<Dobbiamo agire subito!> proclamò un
terzo con tono deciso.
<Agiremo al momento opportuno.> replicò
con calma un uomo dall’aria autorevole, evidentemente il leader del gruppo
<Le sacre tradizioni del Wakanda non saranno accantonate. Noi Desturi lo
impediremo con qualunque mezzo, ve lo prometto.>
Centro
Assistenza Donne Maltrattate, Maria Stark, Manhattan, New York.
Dora Milton stava seguendo in diretta
streaming il discorso di M’Koni.
<Buona fortuna, mia sovrana.> sussurrò
badando bene a non farsi sentire.
Gli altri impiegati e le ospiti della struttura
non sapevano che lei fosse wakandana e dovevano continuare a non saperlo perché
la sua copertura reggesse. Dora Milton in realtà non esisteva, era un’identità
fittizia costruita dagli efficienti servizi segreti wakandani per Okoye, ex
Dora Milaje, ora in missione segreta di
assistenza al suo ex sovrano nel suo autoimposto esilio negli Stati Uniti
Con sua stessa sorpresa Okoye si era trovata
bene nel suo nuovo ruolo. Essere Dora Milton, aiutare le donne in difficoltà,
le stava decisamente piacendo anche se non era facile. Certi problemi non
potevano essere risolti con una freccia ben diretta.
In questo momento, si trovava a discutere con
una agente del famigerato I.C.E.[6] a
proposito di alcune ospiti del Centro, ragazze fatte venire dall’Est Europa per
essere avviate alla prostituzione contro la loro volontà.
<Come sarebbe a dire che non sono più
qui?> chiese L’Agente Speciale Kathy Carter.
<Semplicemente che dopo il raid dell’altra
notte[7] abbiamo
preferito smistarle in alcune case sicure in luoghi segreti.> rispose
Dora/Okoye,
<Bene, mi dica dove sono ora.>
<Spiacente ma non sono autorizzata a
farlo.>
<Si rende conto che sono un agente
federale nell’esercizio delle sue funzioni?>
<Certo e so anche che la sua agenzia
prenderebbe quelle ragazze e le ammasserebbe in quel vostro centro di
detenzione in attesa di espellerle senza curarsi delle loro condizioni. Ho
visto cosa i suoi colleghi hanno combinato in Messico e lo sa anche la mia
direttrice, quindi senza mandato di un giudice, da me e da chiunque altro
lavori qui non saprà niente.>
La bionda agente sospirò e disse:
<In realtà la penso come lei. Quello che
voglio davvero è sbattere in galera quei figli di buona donna che le hanno
portate qui con la forza o l’inganno e presto o tardi ci riuscirò.>
Magari con un piccolo aiuto, pensò Okoye.
Birmin
Zana, Capitale del Wakanda.
Tra gli spettatori della breve presentazione
della nuova Pantera Nera c’erano anche quattro bianchi: un ragazzo dai capelli
scuri e gli occhi grigi che dimostrava più o meno vent’anni, una ragazza bionda
dagli occhi azzurri ed una dai lunghi capelli corvini e gli occhi nocciola che
dimostravano circa 18 anni. Completava il gruppo un uomo decisamente più
anziano dai capelli rossi.
<La nuova Pantera Nera ha dato uno
spettacolo interessante.> commentò quest’ultimo <Resta da vedere se avrà
la grinta necessaria per affrontare i guai che stanno arrivando.>
<Che intende dire Mr. McKenna?> chiese
la ragazza bionda.
<Che questa parte di Africa sta diventando
più turbolenta di quanto già lo sia di solito, mia cara Miss Halliwell.>
rispose l’avventuriero di nome Patrick McKenna <Il nostro vecchio amico
Dottor Crocodile vuole papparsi tutti gli staterelli della zona. Finora ha
avuto vita facile ma se sfiderà il Wakanda potrebbe scoprire che è un boccone
troppo grosso anche per lui. In molti hanno provato a conquistare il Wakanda e
tutti hanno fallito. Sicuramente Crocodile è convinto di poter essere il primo
a farcela e questo significa una sola cosa: guerra.>
Lorna Halliwell tacque pensierosa e fu la sua
amica dai capelli neri a parlare:
<E suppongo lei suggerisca di andarcene da
qui prima che scoppi, giusto, Mr. McKenna?>
<Esatto. E credevo che avessimo deciso di
smetterla con Mr e Miss, mia cara Jane.>
<Allora chiamami Jann, lo preferisco… Pat.>
<La mia famiglia ha una piantagione in
Kenya proprio sull’altra sponda del lago. > intervenne il giovane che si
faceva chiamare Jack Porter < Potremmo andare lì, al sicuro. Tuttavia…>
<Tuttavia?> chiese Lorna.
<Mi piacerebbe vedere da vicino cosa
succederà.>
<Stavo pensando la stessa cosa.>
aggiunse Jane Hastings.
<Voi ragazzi siete tutti matti> replicò
McKenna < Questo non è un racconto di avventura, questa è la vita reale ed
io intendo filarmela prima che le cose precipitino.>
<Nessuno te lo impedisce.> ribatté Jack
<Puoi partire oggi stesso se proprio ci tieni.>
<Non ho certo bisogno del tuo permesso,
ragazzino. Vado subito a procurarmi un biglietto per il primo aereo diretto in
qualunque posto che sia abbastanza lontano da qui.>
Così dicendo l’uomo si voltò e si allontanò
dal salone.
<Vigliacco.> mormorò Jane Hastings.
<O forse è solo più saggio di noi.>
replicò Jack.
Midtown
Manhattan, New York.
L’auto che portava al suo hotel, Bridget Hapanmyas e suo figlio Ibrim era blindata, il che era un bene perché
nessuno dei due era particolarmente amato ed anche negli Stati Uniti non
mancavano coloro che li avrebbero volentieri visti morti.
Bridget
Hapanmyas era la Presidentessa, ma sarebbe stato più appropriato definirla
dittatrice, del Djanda, un piccolo, quasi un puntino microscopico su qualunque
cartina geografica, Stato dell’Africa Centrale che tuttavia era anche uno snodo
importante della produzione e contrabbando dei cosiddetti diamanti di sangue,
un commercio che aveva permesso alla famiglia Hapanmyas di arricchirsi
smisuratamente mentre il popolo rimaneva irrimediabilmente povero. C’era da
stupirsi, quindi, se erano in molti a volere Bridget morta.
<Quel
maledetto Crocodile!> esclamò la donna aggiungendo un paio di colorite
imprecazioni.
<Che
succede, mamma?> le chiese Ibrim.
Lei lo fulminò
con lo sguardo.
<Ha appena
inviato un ultimatum invitando il Djanda ad unirsi a quella sua fottuta
federazione e quei cacasotto dei miei ministri hanno deciso di accettare approfittando della
mia assenza.>
<Ed ora cosa
facciamo, mami?>
<Non
chiamarmi mami, imbecille, e lasciami riflettere.>
Tornare in
Njanda era fuori questione ma per fortuna le
restava ancora una carta da giocare.
Palazzo
Reale.
M’Koni entrò nell’Appartamento Reale, il suo
appartamento adesso, e non appena la porta si chiuse alle sue spalle si sfilò
la maschera rituale della Pantera Nera e prese un lungo respiro.
<Essere il sovrano può essere stancante,
non è vero?> disse una voce proveniente dall’ombra davanti a lei
<Cosa? Chi…?> esclamò M’Koni.
Dalle ombre emerse la figura del Lupo Bianco
illuminata dalla luce della luna proveniente da una finestra.
<Sono solo io, cara cugina.> disse.
<Come hai fatto ad entrare qui?>
<Conosco ogni centimetro di questo palazzo
e tutti i suoi segreti. Posso arrivare ovunque del tutto inaspettato ma per tua
fortuna, non ho intenzioni ostili.>
<Perché dovrei crederti?>
<Perché sei ancora viva. Se lo avessi
voluto, saresti morta non appena entrata in questa stanza.>
M’Koni sapeva che quella del suo cugino
adottivo non era una vanteria. Quando parlò cercò di dare alla sua voce un
timbro autorevole:
<Perché sei venuto qui?>
<Come nuova Pantera Nera ti aspettano
giorni difficili.> rispose il Lupo Bianco <Avrai nemici interni ed
esterni che complotteranno contro di te, alcuni apertamente, altri, più
subdolamente, nell’ombra. Molti pensano che tu sia inadatta al tuo ruolo, che
tu sia debole e che questo è il momento adatto per colpire. Dimostra loro che
si sbagliano, che sei degna di essere la Pantera Nera.>
<E tu da che parte starai?>
<Da quella del Wakanda… come sempre.>
<Non so
se questo mi rassicura, forse…>
M’Koni si interruppe. Si era resa conto di
essere sola. I sensi superpotenziati che aveva guadagnato superando le prove
della Pantera Nera le dicevano senza bisogno di fidarsi degli occhi che il Lupo
Bianco non era più nella stanza. Dalle ombre era uscito e nelle stesse ombre
era svanito.
M’Koni sospirò. Una delle prime cose che
avrebbe fatto l’indomani sarebbe stata far chiudere tutti i passaggi segreti
che fosse riuscita a trovare ma in qualche modo sentiva che con il Lupo Bianco
non sarebbe bastato.
Harlem,
New York.
È quando scende la notte che i predatori
escono dalle loro tane in cerca di preda. Questo è vero nella vera jungla ma lo
è altrettanto nella jungla urbana chiamata New York.
Il Leopardo Nero lo sapeva molto bene ed era
anche per questo che aveva scelto la Grande Mela come suo terreno di caccia. Il
crimine poteva anche essere in calo ma lui sapeva bene che il male è una pianta
difficile da estirpare.
Quello che forse non sapeva era che quella
notte era anche lui la preda di qualcun altro.
La cacciatrice aveva aspettato a lungo che la
sua preda si facesse viva ma alla fine la sua pazienza era stata ricompensata.
Qualcuno era disposto a pagare un prezzo molto
salato per la testa del Leopardo Nero e l’avrebbe avuta.
Centro
di Detenzione Federale di Manhattan.
Fino a non molto tempo fa questo era
considerato uno dei carceri più sicuri della città ma da qualche tempo non era
più così: una dissennata politica di riduzione del personale unita ad una
pessima manutenzione aveva reso questo posto molto meno sicuro. Non molto tempo
prima un detenuto nell’ala di supermassima sicurezza in attesa di giudizio per
reati sessuali aveva trovato il modo di impiccarsi… sempre che si fosse
trattato veramente di suicidio. In entrambi i casi non sarebbe dovuto accadere
e questo era decisamente poco tranquillizzante.
Nella sua cella in quella stessa ala Frank
Castle sedeva sul letto fissando la parete davanti a lui. A cosa stesse
pensando nessuno avrebbe potuto indovinarlo. La sua presenza inquietava sia i
secondini che i detenuti sia pure per motivi diversi.
La porta della cella si aprì improvvisamente
ed un agente di custodia disse:
<In piedi Castle, è la tua ora d’aria.>
Secondo i regolamenti delle carceri di
supermassima sicurezza, i detenuti avevano diritto ad un’ora d’aria su 24 ma
stava alla discrezione della direzione dei singoli istituti scegliere quando
ogni singolo detenuto avrebbe avuto la sua. Questa volta a Frank era toccato il
segmento dalle 23 a mezzanotte.
Senza mutare espressione si lascio
ammanettare polsi e caviglie e si fece condurre fuori dalla cella.
Gli agenti erano intimoriti da lui ma non ne
avevano davvero paura: sapevano che il famigerato Punitore aveva un suo codice
d’onore e non faceva mai del male agli esponenti delle forze dell’ordine… a
meno che non fossero corrotti naturalmente.
Mentre il gruppetto procedeva nel corridoio
incrociò una giovane agente, una bella ragazza bionda che proveniva dalla direzione
opposta e che li salutò con un cenno del capo dedicando al prigionieri appena
una fugace occhiata.
Quanto a Frank Castle, senza che i suoi
carcerieri se ne accorgessero, le labbra gli si incresparono brevemente in una
specie di sorriso.
Harlem Club, Harlem, New York.
Monica Lynne smise di cantare e dopo aver
ringraziato il pubblico si diresse verso il bar
Abraham Brown seguiva il suo cammino e non
solo per il motivo che sarebbe parso ovvio a tutti i presenti. Abe sapeva che
Monica camminava sull’orlo di un abisso personale. Abuso di alcool e probabile
promiscuità erano solo i sintomi evidenti di un cancro dell’anima che la stava
divorando dall’interno. Perché la cosa avrebbe dovuta interessargli? La
conosceva appena e non ci era nemmeno andato a letto anche se doveva ammettere
che non gli sarebbe dispiaciuto. Bob Diamond lo avrebbe preso in giro dicendo
che sotto la sua scorza da duro si celava l’anima di un boy scout. Al Diavolo
anche Bob.
<Davvero una bella donna, peccato che si
stia lasciando andare.> disse l’uomo seduto vicino a lui quasi che sapesse
ciò che Abe stava solo pensando ed avesse voluto esprimerlo ad alta voce
<Certo non deve essere stato facile per lei il percorso da quasi regina di
una delle nazioni più ricche del mondo a cantante di piano bar.>
Il modo più semplice e diretto per descrivere
Nathaniel Alexander Byrd, detto Blackbyrd, era: la versione afroamericana di
Kojak ed al famoso poliziotto protagonista di una popolare serie di telefilm
degli anni settanta lo accomunava anche un carattere che pochi avrebbero
definito amabile. Ex poliziotto, ex detective privato divenuto capo della
sicurezza di una grande azienda, non aveva dimenticato le sue origini e
tantomeno i vecchi amici.
<Dovrebbe importarmene, Blackbyrd?>
replicò Abe.
<Non giocare a fare il cinico con me,
Brown, ti conosco bene e so che la deliziosa Miss Lynne ti interessa e non sei
l’unico. Dicono che anche Morgan in persona le abbia messo gli occhi
addosso.>
<Sai parecchie cose per essere uno che,
ormai, lavora nei quartieri alti.>
<Mi piace essere informato e… oh, oh! A
quanto pare hai fatto colpo su un’altra bellezza. Guarda un po’ chi sta venendo
da questa parte?>
La persona in questione era Shauna Toomey,
un’attraente afroamericana di oltre trent’anni,
moglie dell’uomo che dirigeva l’Harlem Club per conto del suo proprietario Boss
Morgan.
Si fermò davanti a d Abe e disse:
<Sono davvero felice di rivederla qui, Mr.
Brown. Mi fa piacere che il pasticcio dell’altra sera.[8] non
l’abbia dissuasa dal tornare.>
<Ci vuole altro che un balordo come Leroy
Tallon per impensierirmi.> ribattè Abe.
<Non lo sottovaluti, è un tipo molto
pericoloso.>
<Anche io lo sono… e molto anche.>
Shauna Toomey fece una risata di gola poi
disse:
<Ne sono certa e scommetto che hai anche
altre doti interessanti, Abe. Posso chiamarti, Abe, vero? Tu chiamami Shauna.
Bene, ora scusami ma il dovere mi chiama. Ovviamente la tua consumazione di
stasera è offerta dalla casa … lo stesso vale per te, Blackbyrd.>
<Grazie per la considerazione, Mrs.
Toomey.> replicò l’altro in tono sarcastico.
La donna si limitò a sollevare un
sopracciglio.
Dopo che Shauna Toomey si fu allontanata,
Blackbyrd si rivolse ad Abe:
<Ho visto avances meno sfacciate. Hai
davvero fatto colpo ma ti conviene stare attento: John James Toomey non è solo
il manager di questo locale ma anche uno dei luogotenenti di Morgan, potrebbe
non essere salutare scopargli la moglie… perfino per uno come te.>
Ma Abe Brown non lo stava ascoltando il suo
sguardo era fisso su Monica Lynne che era già al suo terzo whisky.
Centro
di Detenzione Federale di Manhattan.
Tiberiu Bulat era un uomo malvagio, non c’era
alcun altro modo per definirlo.
In gioventù, nella natia Romania, era stato
un agente della temuta Securitate di Nicolae Ceausescu, poi si era riciclato
come mercenario nelle guerre balcaniche ed altrove.
Nella sua lunga esistenza aveva ucciso,
torturato, mutilato, stuprato senza il minimo rimorso, anzi godendo della
sofferenza inflitta agli altri.
Negli ultimi tempi era diventato uno dei capi
di un organizzazione che trafficava in esseri umani ed anche in quel ruolo
aveva dato ampia prova della sua crudeltà mista a sadismo.
La Legge, con un piccolo aiuto da parte di
due vigilanti in costume, era finalmente riuscita a raggiungerlo e così in quel
momento Tiberiu, assieme al figlio Cristu, era detenuto in attesa di giudizio
senza cauzione.
Si stava godendo la sua ora d’aria preparando
mentalmente i piani per la sua futura evasione grazie alla complicità di alcune
guardie che aveva corrotto, un‘evasione che, ma lui non poteva saperlo, non lo
avrebbe mai visto protagonista.
Non si accorse della figura massiccia che gli
era arrivata alle spalle se non quando si sentì serrare il collo in una morsa
ed udì una voce che diceva:
<Addio.>
Un attimo dopo un forte schiocco si udì nella
stanza e Tiberiu Bulat cadde a terra con il collo spezzato.
Silenziosamente com’era entrato, Frank Castle
uscì dalla stanza.
South
Bronx, New York.
Il suo vero nome era noto a pochi, per quasi
tutti era Zebra Daddy ed il suo lavoro era il manager di prostitute altrimenti
detto lenone o pappone e del classico pappone di colore aveva pure l’aspetto:
abiti pacchiani dai colori sgargianti, anelli alle dita, collane. Sembrava che
ci tenesse ad essere riconosciuto per quello che era e magari era proprio così.
Attualmente era inserito in un’organizzazione
criminale internazionale, diretta dallo spietato boss rumeno che si faceva
chiamare Vlad l’Impalatore; un’organizzazione che “importava” clandestinamente
ragazze perlopiù dall’Europa dell’Est e che stava cercando di espandere i suoi
affari anche al controllo della prostituzione locale, cosa che nel precario
equilibrio esistente tra le varie organizzazioni criminali operanti in città
poteva portare ad un conflitto devastante.
Seguendo Zebra Daddy il Leopardo Nero sperava
di arrivare ad uno dei nuovi covi dell’organizzazione ma le sue speranze
stavano per essere deluse.
Era appena saltato da un tetto ad un altro
quando si bloccò di colpo.
Non poteva sbagliarsi: alle sue spalle c’era
qualcuno… qualcuno che lo aveva seguito sino ad allora senza farsi cogliere dai
suoi sensi ipersviluppati per quanto impossibile potesse sembrare.
<Esci allo scoperto. So che ci sei.>
disse mentre si voltava lentamente.
Davanti a lui c’era una ragazza molto
giovane, forse poco più che adolescente, che indossava una tuta attillata scura
con un colletto di pelliccia bianca ed aveva corti capelli biondi. T’Challa era
certo di non averla mai incontrata prima ma provava comunque una strana
sensazione di familiarità che trovava sottilmente inquietante.
<Chi sei?> le chiese.
<La donna che ti ucciderà.> rispose lei
e spiccò un balzo verso di lui vibrandogli un calciò.
Il Leopardo Nero lo evitò facilmente balzando
di lato e la osservò ricadere sulle punte dei piedi con la grazia di una
ballerina.
<Mi hai seguito senza che me ne
accorgessi, e questo l’avrei giudicato quasi impossibile. Avresti potuto
approfittarne per uccidermi ma hai preferito affrontarmi a viso aperto,
perché?> le chiese.
<Perché è più divertente.> rispose la
ragazza con un sorrisetto insolente.
Cominciò così una sorta di balletto in cui
ciascuno dei due contendenti cercava di colpire l’altro senza riuscirci.
Improvvisamente la misteriosa ragazza azionò un meccanismo nascosto nel
colletto ed una scarica di energia bluastra investì il Leopardo Nero che cadde
in ginocchio.
<Notevole.> commentò la ragazza <In
teoria quella scarica avrebbe dovuto abbattere un vero leopardo ma tu sei
ancora sveglio.>
Di colpo il Leopardo Nero comprese perché
trovava familiare la ragazza; aveva già sentito una volta un odore come il suo.
<Kraven?> esclamò <Non è possi…!>
Non finì la frase. La ragazza gli vibrò un
forte calcio al mento spingendolo indietro e proiettandolo oltre il bordo del
tetto in una caduta di dieci piani con i muscoli semiparalizzati.
CONTINUA
NOTE
DELL’AUTORE
Innanzitutto un doveroso
ringraziamento a Carmelo Mobilia per il suo importante contributo ai precedenti
episodi e speriamo anche a quelli futuri ed ora via con le note.
1) Ho
scritto questo episodio quasi di getto, spero che Carmelo mi perdoni per non
aver nemmeno provato a coinvolgerlo.
2) L’idea
di introdurre i Desturi, setta creata da Reginald Hudlin Jonathan Maberry &
Will Conrad su Black Panther Vol. 5° #7 datato ottobre 2009, è di Mickey ed io
l’ho accolta con entusiasmo.
3) La
mia idea di base nell’affrontare questa serie era da un lato mettere T’Challa
in una situazione se non proprio nuova per lui, quantomeno insolita e
dall’altro esplorare la situazione geopolitica di un continente turbolento come
quello africano attraverso la metafora del Wakanda e dei suoi vicini con gli
inevitabile paragoni e parallelismi tra la jungla urbana e quella reale.
4) Il
nome T’Chanda per il padre di M’Koni e come nome wakandano di William “Billy”
Wheeler, è quello di un antenato di T’Challa apparso in Fantastic Four Unlimited
#1 datato marzo 1993 ad opera di Roy Thomas & Dave Hoover.
5) Bridget Hapanmyas
è un personaggio creato da Robert Rodi & Sean Chen su Elektra Vol. 2° #25
datato settembre 2003.
6) Jack
Porter, Jane Hastings e Lorna Halliwell sono mie creazioni ma al tempo stesso
sono anche i discendenti di personaggi legati alla jungla, due Marvel, o
meglio: Atlas, ed uno molto più vecchio.
7) I
più attenti di voi avranno sicuramente indovinato chi sia la misteriosa
assalitrice del Leopardo Nero gli altri aspetteranno il prossimo episodio.
E
a proposito del prossimo episodio… intrighi, lotte per il potere e per la
sopravvivenza e tanto altro.
Carlo
Carlo
[1] Come visto nei primi nove episodi di questa serie.
[2] Descritti su Fantastici Quattro #35/36.
[3] Vedi WordWatch #16/20.
[4] Tre episodi fa.
[5] Come dovreste sapere se avete letto Fantastici Quattro #35/36, non ve lo diremo una terza volta. -_^
[6] Immigration and Customs Enforcement, agenzia del Dipartimento della Sicurezza Interna che si occupa delle violazione delle leggi sull’immigrazione e doganali degli Stati Uniti.
[7] Ovvero nell’episodio #12.
[8] Vale a dire nell’ultima episodio.